Pier Luigi Camagni, scrittore in Milano

Incontri di notte

Il crepuscolo avvolgeva i sentieri di un antico villaggio, lasciando spazio alle ombre misteriose. Nel cuore di questa comunità si trovava una modesta locanda, il punto d’incontro per viaggiatori stanchi e animi in cerca di rifugio. Alla guida della locanda c’era una vecchia cuoca di nome Etsuko, dai capelli grigi come la nebbia mattutina e dalle mani consumate dal fuoco dei fornelli.

Un giorno, durante l’ora del tè, un monaco misterioso fece la sua comparsa. Indossava un abito nero e portava con sé un bastone da viaggio, simbolo del suo pellegrinaggio spirituale. Il monaco, conosciuto come Kaito, era noto per i suoi sermoni profondi e la saggezza che ne scorreva come l’acqua di un fiume. Etsuko fu subito attratta dal suo carisma e decise di preparare per lui i migliori bao che avesse mai assaggiato.

Fu proprio in quel momento che entrò nella locanda un samurai di nome Takeshi. Portava con sé un’aura di nobiltà e devozione al codice del bushido. Il suo viso era severo, ma i suoi occhi raccontavano di una profonda ricerca spirituale. Si avvicinò al monaco, riconoscendolo come un’anima simile, e insieme si sedettero per condividere la cena.

Nell’ombra, tuttavia, si nascondeva una figura sinistra. Un ladro astuto di nome Akio, famigerato per le sue abilità di scassinatore, aveva spiato la locanda e aveva intenzione di sottrarre qualcosa di valore.

Mentre il monaco e il samurai conversavano, Akio si infilò furtivamente nella cucina, sperando di trovare un tesoro nascosto. Ma quando mise piede nella stanza, vide Etsuko mentre preparava con attenzione i bao. I suoi movimenti erano come un’armonia perfetta e il ladro fu colto dal fascino di quella vecchia cuoca, apparentemente assorta nel suo mondo.

“Ehi, vecchia!” sibilò Akio. “Smettila di cucinare e mostrami dove nascondi i tuoi tesori!”

Etsuko si girò lentamente verso di lui, i suoi occhi riflettendo calma e comprensione. “Non ho tesori nascosti, giovane ladro. La mia ricchezza risiede nel cibo che preparo e nell’amore che condivido con chiunque si sieda al mio tavolo.”

Il ladro fu colto di sorpresa da quelle parole, ma non poteva permettersi di mostrarsi debole. Estrasse una piccola lama e avanzò minaccioso verso la cuoca.

Tuttavia, prima che potesse fare un solo passo, il monaco Kaito si materializzò nella stanza, silenzioso come un’ombra. Con uno sguardo che attraversò l’anima di Akio, disse: “La violenza non è mai la risposta, giovane ladro. Incontriamo tutti le nostre sofferenze e i nostri desideri nel buio della notte, ma dobbiamo trovare la luce nel nostro cammino.”

Il samurai Takeshi si unì al monaco, la spada sguainata ma rivolta verso il basso. “Il mio codice d’onore mi impone di proteggere gli innocenti e di difendere la giustizia. Lascia questa via sbagliata che hai intrapreso.”

Akio si sentì in trappola, circondato da queste figure mistiche, ognuna con la propria saggezza e forza. Colto dal rimorso e dal timore, lasciò cadere la lama e fuggì nell’oscurità.

Così, in quella locanda in un villaggio dimenticato, si intrecciarono le vite di una vecchia cuoca, un monaco, un samurai e un ladro. Il loro incontro, breve ma significativo, avrebbe influito sul loro cammino. Condividendo i bao cucinati con amore da Etsuko, il monaco e il samurai trovarono un momento di pace e contemplazione, e il ladro, ispirato dalle parole del monaco, intraprese una nuova via nella speranza di redimersi.

Etsuko continuò a cucinare con passione e grazia, portando nutrimento non solo al corpo ma anche allo spirito di coloro che varcavano la soglia della sua locanda. Il suo cuore e la sua cucina diventarono un luogo di incontro per viaggiatori di tutte le strade, e la sua storia, passata di bocca in bocca, divenne una leggenda che avrebbe continuato a ispirare per generazioni.

=============================================================================================

Il vecchio ubriacone

Il sole declinava all’orizzonte, quando l’ombra sbilenca di un vecchio ubriacone comparve nella strada polverosa del piccolo villaggio. I suoi passi incerti e sgraziati facevano scaturire un’armonia di pietre che rotolavano lungo il selciato, come una sinfonia malinconica in una notte senza luna.

Il vecchio, avvolto in un cappotto logoro, portava con sé il peso dei giorni e delle bevute infinite. Il suo viso, segnato dal tempo, era una mappa di storie perdute, di risate sfumate nel vento. Gli occhi, che un tempo brillavano come lucciole nel buio, erano ora rifugi di un’oscurità senza fine.

Senza meta o scopo, vagava per le strade strette del villaggio come un’anima smarrita. In passato, la sua vita aveva conosciuto i colori vivaci e l’ebbrezza della gioventù, ma il tempo, implacabile, lo aveva sfiorato con la sua falce inesorabile, spogliandolo di ogni illusione e lasciandogli solo l’amarezza dell’oblio.

Nessuno sapeva cosa cercasse il vecchio ubriacone nelle ombre dei vicoli o tra le rovine delle sue speranze. Forse, in quel mare di bottiglie vuote e bicchieri infranti, cercava l’eco di un tempo in cui le sue mani erano forti e i suoi sorrisi sinceri. O forse cercava l’assoluzione, un attimo di redenzione nella compagnia di sconosciuti che, come lui, erano naufragati sulla spiaggia del destino.

Le strade silenziose e deserte sembravano custodirne i segreti. La luce del tramonto si rifletteva sulla sua figura solitaria, dipingendo ombre profonde sul suo volto segnato. Il vento gli carezzava i capelli ormai radi, portando con sé un sussurro di avventure passate.

L’uomo si fermò davanti a una vecchia bettola, le mani tremanti afferrando l’uscio di legno scuro. Attraversò la soglia con passo incerto, la luce fioca del locale accogliendolo come un abbraccio familiare, caldo e umido. Lì, tra i rumori di bicchieri che tintinnano e voci fioche, il vecchio ubriacone si sentiva come un capitano in un porto sicuro, lontano dalle tempeste della vita.

Prese posto a un tavolo disadorno, i suoi occhi persi nell’orizzonte oscuro di un bicchiere vuoto. Lo sguardo dei presenti si posò su di lui, una miscela di compassione e distacco, di disprezzo. Ciascuno dei presenti conosceva il suo nome, ma pochi conoscevano la sua storia.

E così, tra il fumo delle sigarette e il tintinnio dei bicchieri, la vita del vecchio ubriacone si svolgeva come un’opera inespressa, un capolavoro nascosto tra le ombre della sua anima. Era come se ogni sorso di liquore fosse una pennellata audace sulla tela bianca del suo destino, un tentativo disperato di dipingere un quadro di sé stesso che mai avrebbe potuto completare.

Le rugose dita presero saldamente il bicchiere di whisky, sollevandolo con un tremore incontenibile verso le labbra screpolate. La sua mano tradiva l’usura del tempo e le ferite inferte da una vita vissuta senza pietà. Quel liquido dorato, colato nella sua gola, scaldava la sua anima infranta come l’abbraccio di due cosce di donna. In quel momento, si immerse in una connessione intima con l’universo, una brezza calda nel turbine caotico della sua esistenza senza redenzione.

Eppure, anche nel cuore di quell’accoglienza apparente, sapeva che la sua fuga nel vortice dell’alcool e della solitudine non avrebbe mai guarito le cicatrici profonde che portava dentro di sé. La sua vita era un campo di battaglia, un’infinita sequela di perdite e dolore. Aveva cercato rifugio nel vizio, nel tentativo disperato di trovare un po’ di serenità nella tempesta che lo aveva consumato.

Ma la sua fine era già scritta nelle righe dell’oscurità che lo circondavano. Il whisky, una volta suo confidente, si trasformava lentamente in un aguzzino silente, avvolgendolo in una spirale di devastazione. Le sue speranze, come fiammelle vacillanti, venivano soffiate via dall’implacabile vento della sua stessa autodistruzione.

Le lacrime sgorgarono dai suoi occhi stanchi, mentre l’ultima goccia di whisky scivolava tra le sue labbra. La solitudine, che aveva cercato di lenire con ogni sorso, lo avvolse ancora più stretto, come un’amante crudele che non conosceva pietà. La tristezza si impossessò di lui, una tristezza che non aveva confini né parole per essere espressa.

E così, con un ultimo sospiro, si arrese al destino che lo attendeva. Le sue mani lasciarono andare il bicchiere vuoto, mentre la sua anima si scappava via, spersa nell’oscurità infinita. Era solo, finalmente libero da ogni sofferenza, ma ancor più solo di quanto avesse mai immaginato.

Nessuna lacrima fu versata per lui, nessuna preghiera recitata. La sua vita si spense in un silenzio incompreso, come un capolavoro dimenticato nel cassetto di un poeta maledetto. E così, l’uomo che aveva cercato conforto nel liquore fu condannato a restare nella memoria degli altri come una figura sfocata, un’anima perduta nel frastuono del tempo.

La sua storia, come molte altre storie tragiche, scomparve nell’oblio, lasciando solo un’impronta sfumata nella vastità dell’universo indifferente.